Due modeste proposte per riformulare la nozione di forza maggiore in tempi di COVID-19

Molti viaggi ed eventi vengono annullati a causa della diffusione del coronavirus. Ma non sempre la clausola di forza maggiore ha una chiara e immediata applicazione. Qui provo a formulare due proposte per un meccanismo chiaro e semplice di forza maggiore per fronteggiare l’epidemia di COVID-19.

Giovedì mattina ho fatto alcune riflessioni a ruota libera sulle sfide che la crisi del coronavirus ci pongono davanti nella gestione dei progetti. Le ho riassunte in tre messaggi chiave:

  1. pianificare l’incerto
  2. essere creativi
  3. fare tesoro dell’esperienza.

Era un modo per iniziare la giornata con un messaggio di moderato ottimismo.

Ma la mia giornata di lavoro di giovedì si è conclusa con la necessità di capire se i costi di una missione all’estero che non sarà fatta potranno essere coperti dal contributo dell’Unione europea.

E lì mi sono accorto di quanto ci sia ancora da fare, soprattutto da parte della Commissione europea e delle sue agenzie esecutive.

Clausole di forza maggiore

Cos’è un caso di forza maggiore

Tutti i contratti di sovvenzione (Grant Agreement in inglese) contengono una clausola di forza maggiore.

Si parla di forza maggiore quando un evento esterno impedisce di realizzare il progetto o parte delle sue attività o comunque di soddisfare le obbligazioni contrattuali. Tale evento deve essere imprevedibile, eccezionale e al di fuori del nostro controllo, non dovuto a nostra diligenza o incapacità e inevitabile nonostante i nostri migliori sforzi.

‘Force majeure’ means any situation or event that:

  • prevents either party from fulfilling their obligations under the Agreement,
  • was unforeseeable, exceptional situation and beyond the parties’ control,
  • was not due to error or negligence on their part (or on the part of third parties involved in the action), and
  • proves to be inevitable in spite of exercising all due diligence
Horizon 2020 Model Grant Agreement, Articolo 51

Sembra che l’annullamento di un convegno o di una trasferta a seguito delle disposizioni di governo, ministeri, regioni abbiano tutte queste caratteristiche.

Si applica al caso del coronavirus?

Ci si aspetterebbe quindi che le spese sostenute per eventi e trasferte cancellati siano ammissibili a finanziamento, così come i costi per affrontare l’evento di forza maggiore, anche sulla base di alcuni esempi dell’Annotated Model Grant Agreement.

New in Horizon 2020: If a task could not be executed due to a situation of force majeure but certain costs were incurred for that task and could not have been avoided, those costs may still be eligible.

Horizon 2020 Annotated Model Grant Agreement, pagina 348

Eppure, non sempre i project officer sono pronti a riconoscere l’epidemia COVID-19 come un caso di forza maggiore e a riconoscere come rendicontabili i costi dovuti a cancellazione di workshop, project meeting e altre trasferte.

Una prima semplice proposta

Quello che servirebbe è una regola chiara ad hoc che affermi che i costi connessi a questa epidemia sono automaticamente considerati rendicontabili a fronte di disposizioni di legge che impediscono la realizzazione delle attività.

Proposta #1

I costi di viaggi e convegni annullati per disposizioni delle autorità sono automaticamente considerati rendicontabili.

Ovviamente la Commissione europea e le sue agenzie si riservano il diritto di verificare successivamente (in fase di report finanziario o di audit) l’effettiva esistenza di tali disposizioni, anche sulla base della documentazione fornita dal beneficiario, per evitare eventuali casi specifici di frode.

In breve, si tratterebbe di fissare una regola semplice e chiara per tutti i progetti, anziché valutare la situazione caso per caso. Questo avrebbe il vantaggio di semplificare le procedure, sia per i beneficiari che per la Commissione, evitando di ingolfare i singoli uffici della Commissione, con il rischio che si realizzino disparità tra progetto e progetto.

Questo è quello che ha fatto l’agenzia nazionale INDIRE: ha previsto esplicitamente l’applicazione della clausola di forza maggiore per tutte le mobilità di alunni, studenti e staff finanziati dal programma Erasmus+. Ha quindi invitato a riprogrammare le mobilità (in ingresso e in uscita) e ha esplicitamente previsto l’ammissibilità delle mobilità annullate per effetto dei provvedimenti delle autorità pubbliche.

Non costerà troppo? No!

Qualcuno potrebbe obiettare che in questo modo i costi per l’Unione europea aumenterebbero, dovendo pagare per una serie di eventi che non hanno avuto luogo.

Ma se ci si pensa bene, si tratta di un errore prospettico. Quegli eventi erano già previsti dal progetto e i loro costi già preventivati dal budget approvato dalla Commissione. La loro cancellazione non aumenta l’esborso da parte del finanziatore.

I costi aggiuntivi – perché non previsti dai progetti – sono quelli per nuove azioni da intraprendere per far fronte all’emergenza. Se per esempio qualcuno decidesse di installare uno scanner termico per misurare la temperatura corporea ai partecipanti di una conferenza, il noleggio di questa attrezzatura sarebbe veramente un nuovo costo.

Ad oggi non ho sentito nessuno parlare di misure così estreme, bensì sempre e solo di cancellare o rimandare a data da definire gli eventi in programma.

Quindi costi aggiuntivi non sembrano emergere dall’adozione di questa misura.

Per essere più precisi, un solo costo aggiuntivo e imprevisto potrebbe emergere in questi giorni: quello di una persona improvvisamente costretta all’auto-isolamento o alla quarantena. Chi pagherebbe il costo di hotel per due settimane non previste? Questo ci porta alla seconda misura.

La zona grigia dei casi di forza maggiore

Finora mi sono limitato al caso di eventi e trasferte cancellati perché espressamente vietati da decreti e direttive di autorità pubbliche. Ma la maggior parte dei casi che si stanno discutendo non ricadono in questa casistica.

A parte piccole enclave in Europa, la libera circolazione dei cittadini non è attualmente vietata e gli accordi di Schengen sono tuttora in vigore. Nessuno quindi mi impedisce di andare a Parigi o a Berlino.

Ciononostante, molti sono scoraggiati dal farlo: diversi governi e organizzatori di eventi invitano a non mettersi in viaggio, misure specifiche sono introdotte per chi viene da aree a rischio e molti hanno paura di pagare con una quarantena la scelta di viaggiare.

È evidente che in questi casi viene a mancare la prima delle condizioni poste dalla definizione di forza maggiore, specie se interpretata in maniera letterale. Non c’è nessun evento o situazione che mi impedisca (prevent) di andare alla conferenza o svolgere qualche altra attività inclusa nel piano di progetto.

Un circolo vizioso di indicazioni

Nel discutere uno di questi casi, ho notato che alcuni project officer rimandano alle indicazioni delle autorità nazionali. Consigli analoghi sono stati dati dalla Research Executive Agency (REA) ai titolari di progetti finanziati dalle Azioni Marie Skłodowska-Curie del programma Horizon 2020.

Se si va a guardare cosa dispongono tali autorità ci si trova in una di queste due situazioni (spesso in entrambe):

  • il Paese di partenza consiglia di consultare le indicazioni del Paese di destinazione e viceversa;
  • entrambi i Paesi raccomandano di rimandare le trasferte o di trovare modalità alternative di partecipazione agli eventi.

Insomma, da nessuna parte si trova una risposta chiara e diventa impossibile (o così sembra) far “scattare” la clausola della forza maggiore. Bisogna trovare una soluzione per uscire da questo circolo vizioso di non-risposte.

Una seconda semplice proposta

Ecco quindi la mia seconda proposta: riconoscere il diritto di applicare la clausola di forza maggiore a chi rinuncia di compiere un viaggio se si trova in una di queste situazioni:

  1. le autorità pubbliche del paese di origine o del paese di destinazioni sconsigliano di viaggiare;
  2. l’organizzatore dell’evento sconsiglia la partecipazione al viaggiatore o decide di cancellare o riprogrammare l’evento, anche in assenza di istruzioni analoghe da parte delle autorità pubbliche;
  3. le autorità pubbliche del paese di destinazione hanno introdotto misure specifiche sulla base del paese o area di origine del viaggiatore.

Proposta # 2

I costi di viaggi annullati sono considerati rendicontabili anche in assenza di disposizioni di legge se:

1. il paese di partenza o di arrivo sconsiglia di viaggiare

2. l’organizzatore sconsiglia la partecipazione o cancella l’evento

3. per tutti coloro che sono sottoposte a misure specifiche per il fatto di arrivare da aree a rischio.

Alcuni esempi e il suo senso della mia proposta

Alcuni esempi possono aiutare a capire le diverse casistiche. Le informazioni che seguono sono state verificate nella mattina del 7 marzo e potrebbero subire delle modifiche future.

Le raccomandazioni a non viaggiare

Attualmente l’Italia ha vietato le gite scolastiche, i convegni e più in generale sconsiglia alle pubbliche amministrazioni i viaggi non necessari e suggerisce di rimandare tali trasferte o di trovare delle alternative. Analogamente la Francia sconsiglia i viaggi in Cina e in generale all’estero, salvo ci siano ragioni imperative. Anche l’Italia sconsiglia i viaggi non necessari.

L’obiettivo di queste raccomandazioni è rallentare la diffusione del coronavirus, scongiurare che i sistemi sanitari collassino e scongiurare che si realizzi la pandemia.

La decisione di non viaggiare quando non è strettamente necessario – al di là delle motivazioni dei singoli cittadini – risponde a questi obiettivi. Non sembra quindi equo far pagare il costo di questa decisione (letteralmente e metaforicamente) al singolo viaggiatore.

Inviti a non venite o eventi annullati

Lo European Robotics Forum che si è tenuto a Malaga il 3-5 marzo 2020 ha sconsigliato a chi è stato negli ultimi 14 giorni nelle aree di crisi identificate di partecipare, comprese le regioni del Nord Italia. Si noti che la partecipazione prevedeva una quota di iscrizione che (stante la pagina web) non sarà restituita.

Anche gli organizzatori di Climate Neutrality by 2050: A Pathway for Industry (Bruxelles, 11 marzo) invitano chi viene o è stato nelle aree a rischio di non partecipare all’evento.

La RE(ACT) Congress – IRDiRC Conference, che doveva tenersi a Berlino dall’11 al 14 marzo, è stata cancellata per “forza maggiore” (citando gli organizzatori) e spostata a gennaio 2021, nonostante non sembra ci siano restrizioni in vigore da parte delle autorità tedesche.

In tutti questi casi abbiamo a che fare con una scelta fatta da altri, a cui il viaggiatore è costretto e invitato a adeguarsi. Non si capisce perché chi viaggia (o meglio decide di non viaggiare) debba portare il peso economico di decisioni altrui.

Misure speciali per chi viene da aree di crisi

Diverse misure specifiche sono state messe in atto per chi viene da aree di crisi. Va qui notato che non c’è una definizione precisa di quali siano le aree di crisi in Europa, ma ogni Paese procede in ordine sparso. Per limitarci al caso italiano, secondo alcuni paesi si tratta delle sole regioni settentrionali, per altri dell’Italia intera, per altri il riferimento è alle aree rosse.

La distribuzione geografica di COVID-19 in Unione europea / Spazio economico europeo e nel Regno Unito al 6 marzo 2020 secondo lo European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC)

In ogni caso, quasi tutti i Paesi prevedono misure specifiche per chi viene da aree critiche specifiche.

  • Auto-isolamento o quarantena. Dal 6 marzo la Repubblica Ceca impone la quarantena ai propri cittadini che rientrano da qualsiasi regione italiana.
  • Obbligo di registrazione. La Germania prevede che ci viene dalle aree di crisi devono comunicare i loro dati e gli spostamenti effettuati attraverso un’apposita carta di sbarco (Aussteigerkarte). Inoltre, invita chi ha visitato il Nord Italia (ad oggi Provincia autonoma di Bolzano, Lombardia, Emilia-Romagna, Lombardia e la città Vo’ Euganeo) all’auto-isolamento volontario.
  • Misure specifiche per chi viene da aree a rischio. La maggior parte dei Paesi (per esempio la Francia, il Regno Unito, l’Austria, la Spagna) raccomandano a chi è stato nelle aree di crisi epidemiche di auto-isolarsi, non rivolgersi direttamente al pronto soccorso o al proprio medico curante, e di contattare telefonicamente un centro di assistenza sanitaria istituito ad hoc. Si noti che queste misure si applicano a chi mostra sintomi di infezioni respiratorie e sono state in aree geografiche specificate.

Non si può negare che uno “stigma” colpisce attualmente chi viene dalle zone a rischio: si tratta di persone “sotto sorveglianza speciale, se non indesiderate”. Con questo non si vuol mettere in discussione le legittimità e l’utilità di tali misure precauzionali.

Ma è evidente che chi viene da aree, rischia e teme di finire in quarantena o auto-isolamento in un Paese straniero nel caso si manifestino sintomi di infezioni respiratorie, anche se non necessariamente legate al COVID-19.

Tale rischio è percepito come particolarmente imprevedibile e ingovernabile perché le disposizioni delle autorità pubbliche sono in continuo e repentino cambiamento, seguendo l’evoluzione dell’epidemia.

Soprattutto si tratta di un rischio con un notevole impatto economico e psicologico su chi viaggia, a fronte delle conseguenze non economiche derivanti dalla rinuncia al viaggio. Perché far pagare loro anche il costo di una decisione così gravosa?

Alcune considerazioni a margine di questa seconda proposta

Questa seconda proposta copre casi diversi dalla prima perché:

  1. riguarda i casi in cui non si è presenza di un divieto, ma al massimo di raccomandazioni ed inviti;
  2. riguarda solo i costi di viaggio e non i costi di organizzazione di eventi.

Come già visto per la prima proposta, l’idea è quella di stabilire un meccanismo automatico, che non richieda agli uffici della Commissione e delle sue agenzie di valutare caso per caso, semplificando le procedure.

Tutti gli altri casi — viaggi tra due Paesi che non pongono restrizioni, viaggi a partire da zone non a rischio, costi di eventi cancellati per scelta dell’organizzatore — dovranno invece continuare ad essere valutati caso per caso e autorizzati dalla Commissione.

Come già visto per la prima proposta, inoltre, anche questa non implica un aumento di costi aggiuntivi, trattandosi di viaggi già previsti dal progetto finanziato.

Resta sempre il diritto alla Commissione di verificare successivamente la sussistenza dei casi specifici (p.es. la presenza di raccomandazioni, inviti, restrizioni che danno origine alla decisione di non viaggiare) attraverso la verifica della documentazione a supporto.

Nota finale

Le due proposte che ho cercato di sviluppare e motivare possono certamente essere migliorate, cercando di trovare un meccanismo chiaro per tutti, che riconosca un automatismo della clausola di forza maggiore per ridurre le incertezze e il carico di lavoro derivante dal discutere le situazioni caso per caso,.

Pur partendo dal caso specifico del programma Horizon 2020, dovrebbero essere adottate in maniera uniforme da tutti i programmi dell’Unione europea, a gestione diretta o concorrente.

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In copertina: immagine di un coronavirus realizzata dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Immagine di Alissa Eckert, MS; Dan Higgins, MAM.