Scienze sociali e umanistiche e Covid-19: una riflessione di Corbellini

https://www.scienzainrete.it/articolo/c%C3%A8-bisogno-di-scienze-sociali-ma-non-quelle-di-volta/gilberto-corbellini/2020-06-02

L’intervento di Corbellini è lodevole e pieno di spunti di riflessione. Ma serve un passo in avanti per ripensare le scienze sociali e umanistiche.

Consiglio la lettura di “C’è bisogno di scienze sociali, ma non quelle di una volta” di Gilberto Corbellini sul ruolo che le scienze sociali avrebbero potuto, dovrebbero, ma finora non hanno giocato nell’affrontare l’emergenza Covid-19.

Pur apprezzandone le intenzioni e il senso generale, non posso non notare che Corbellini muove da alcuni assunti di base non sempre condivisibili, che in qualche maniera deformano la discussione sul ruolo delle scienze sociali e umanistiche.

Scienze sociali e umanistiche?

Come sempre si inizia a parlare di “scienze sociali e umanistiche”, ma poi di fatto ci si riferisce solo alle prime.

Forse si ritiene che le discipline umanistiche abbiano poco da dire su Covid-19. Certo se il problema è “cosa potrebbero fare le scienze sociali e umanistiche per aiutare l’approccio al controllo della pandemia e la ricostruzione economica e sociale”, diventa difficile immaginare il contributo di storici e filosofi.

Ovviamente nulla avevano da dire gli storici della letteratura e dell’arte sull’immaginario costruito attorno a epidemie, peste e situazioni di reclusione nel corso dei secoli. Immaginario che i decisori politici e tutti gli attori in campo – volenti o nolenti – hanno dovuto maneggiare per comunicare, con maggiore o minore consapevolezza.

E questioni non solo di diritto e di morale sono state sollevate dalle diverse decisioni prese sia da chi ci governa che da ciascuno di noi.

Scienze sociali sì, ma solo se…

Tra le scienze sociali diffusamente citate solo le scienze comportamentali e le scienze sociali con approccio quantitativo sembrano essere chiamate in causa.

La questione è che a detta di Corbellini, “gli approcci sperimentali e quantitativi hanno consentito alle scienze sociali passi avanti”. Solo le scienze che adottano questi approcci, che più le avvicinano alle STEM, sembrano avere uno statuto epistemologico sufficientemente solido per dare un vero contributo.

Le scienze giuridiche – che non sono né sperimentali né quantitative come auspicato da Corbellini – sono un caso lampante di scienza sociale centrale in questi mesi. Lo abbiamo visto quando si è discusso di privacy, oppure del diritto dello Stato in situazione di emergenza, o dei rapporti tra regioni, governo centrale, Unione europea e organismi internazionali.

Anche l’antropologia – che certo non è né sperimentale né quantitativa – avrebbe qualcosa da ridire sull’immagine dei mezzi dell’esercito che portano via le salme, sottratte ai riti funebri.

Infine la sociologia (ma vale per molte altre discipline o scienze sociali) non può essere ridotta al suo sottoinsieme di studi quantitativi. Eppure l’osservazione attenta di sociologi e psicologi avrebbe potuto meglio spiegare come la società e le persone stavano reagendo o avrebbero reagito davanti alle decisioni prese.

Escludere queste scienze e queste discipline vuol dire rinunciare al loro contributo.

Bisogna fare un passo in avanti

L’intervento di Corbellini è lodevole e pieno di spunti di riflessione. Uno dei pochi, tra l’altro, a sollevare la questione delle scienze sociali e umanistiche.

Anche i suoi inviti ad un maggior rigore quando si adottano approcci sperimentali o quantitativi, coglie certamente nel segno.

Ma sarebbe utile fare un passo ulteriore e provare a pensare a ciascuna delle scienze sociali e umanistiche secondo il proprio statuto epistemologico, invece di considerarle (in blocco) come scienze sperimentali mancate o non pienamente realizzate.