Un “Rêv.E” devenu réalité: Anche per il teatro francese tra Sette e Ottocento c’è speranza

Posso finalmente tornare a raccontare una storia bella come un sogno: anche per le discipline umanistiche c’è una speranza, come insegna il caso di Paola

Raramente parlo delle proposte e dei progetti in cui sono coinvolto. Questa volta farò un’eccezione perché ho una bella storia da raccontare, strettamente legata a questi (quasi) dieci anni di lavoro all’Università di Verona.

Una mia cara amica e collega, Paola Perazzolo, ha ottenuto un importante finanziamento per studiare la società francese durante il Consolato (1799-1804) attraverso la scena teatrale del tempo e i resoconti che ne davano i giornali.

Il progetto, in breve

Il teatro, all’epoca, era luogo di discussione e dibattito pubblico: ricostruire le cronache teatrali, analizzare le locandine, studiare i costumi e le scene, e raccogliere il maggior numero di informazioni su tutto che girava attorno al teatro parigino significa cercare di capire più da vicino cosa avvenisse in quegli anni turbolenti, compresi tra Rivoluzione francese e l’impero di Napoleone.

Un po’ come studiare l’America di Trump attraverso i film e le serie televisive, le critiche dei giornali e le cronache delle celebrities hollywoodiane.

Da grande voglio fare l’attore, disse una volta Napoleone (“Talma donnant une leçon de Grâce et de Dignité Impériale”, acquaforte di Elie, 1814-1815)

Io trovo l’idea veramente stimolante e meritevole del sostegno della borsa individuale Marie Skłodwoska-Curie che la porterà a Warwick, nel Regno Unito, ovviamente con una tappa anche alla Sorbona di Parigi. (Vabbè, sono di parte, lo so)

Comunque, non è di questo che voglio parlare, ma di un ciclo di dieci anni che si è così chiuso.

Il primo incontro, dieci anni fa

Quasi dieci anni fa ho iniziato a lavorare all’Università di Verona. L’obiettivo era aumentare la partecipazione dei ricercatori ai bandi del settimo programma quadro, il predecessore di Horizon 2020.

Io e i miei colleghi allora battevamo tutte le strade, incontravamo ricercatori e ricercatrici, in singolo o a gruppi, per capire di cosa si occupassero e cercare di individuare le migliori opportunità.

Era inevitabile che prima o poi incontrassi anche Paola. Al nostro primo incontro le chiedo quali fossero i suoi interessi.

— Mi occupo di letteratura francese

— Beh, questo lo sapevo già. (Non sarà facile, ma vediamo se riesco ad aiutarti – penso, io)

— In particolare, di teatro…

— Mhm (piccolo colpo di glottide)

— tra Sette e Ottocento

— Mmhm (quasi cercando di inghiottire il boccone).

Un caso disperato

Diciamo la verità. Tra tutte le discipline umanistiche, la storia della letteratura è quella che meno interessa alla Commissione europea. La storia, si sa, è maestra di vita. La filosofia apre ed eleva la riflessione sui problemi odierni. Le belle arti: quanto meno il patrimonio artistico porta turisti, e con questi soldi. Ma la letteratura? Cos’ha da dire un autore di cento o mille anni fa di così rilevante per i problemi di oggi? E che pensare poi dei critici e degli studiosi di autori di cento o mille anni fa? Buoni i primi (meno i secondi) per qualche bella citazione o poco più.

E poi, la letteratura francese! Ma chi lo parla più il francese oggi, per non dire leggerlo. Il francese è démodé tanto quanto il termine stesso “démodé”.

E vogliamo discutere della (ir)rilevanza della letteratura teatrale? Anche i più ferventi sostenitori degli studi letterari saranno pronti a riconoscere che, di tutti i generi letterari, quello teatrale sta proprio al livello più basso. Se c’è qualcosa di interessante, è in realtà ciò che avviene (o avveniva) sul palco, non il testo teatrale stesso, spesso opera di minori.

Infine, che dire poi del periodo storico stesso, tra Sette e Ottocento. Sicuramente un’epoca interessante: l’Illuminismo, la Rivoluzione francese, il Bonaparte… ma cosa ha da offrire di cos’ entusiasmante oggi? Chi legge più quei testi.

Alla ricerca di un finanziamento

Nonostante queste perplessità, mi diedi da fare e trovai una piccola opportunità di finanziamento e cercai di convincere la ricercatrice. Probabilmente non era l’occasione perfetta, certamente non c’era il tempo necessario per costruire una proposta.

Alla fine non se ne fece nulla, ma il suo “caso” è entrato a far parte della mia narrazione. Ogni volta che – presentando le opportunità di finanziamento dell’Unione europea – qualcuno obiettiva che in realtà a Bruxelles non interessano e non finanziano le discipline umanistiche, io ribattevo sempre raccontando questa storia: “Pensate che una volta è venuta una ricercatrice di storia della letteratura francese che si occupa di teatro tra Sette e Ottocento…”.

Una storia da raccontarsi

A dire il vero, il fatto le è stato riferito da una sua amica e mia collega, che ha riconosciuto subito la persona di cui raccontavo le avventure. Simpaticamente, Paola mi ha diffidato dal continuare a raccontare la sua storia.

Questa volta ho chiesto e ottenuto l’autorizzazione. E posso tornare a raccontare questa storia, bella come un sogno (un rêve o meglio “Rev.E”): anche per il teatro francese tra Sette e Ottocento c’è speranza.

Che c’è? Mai vista una Marie Curie sul teatro francese tra Sette e Ottocento? (Kirsten Dunst and Jason Schwartzman in “Marie Antoinette”, 2006)