Walter Lapini su ERC e chiamata diretta: alcune riflessioni a margine

Alcune riflessioni sull’intervento di Walter Lapini sui finanziamenti ERC e sul meccanismo della chiamata diretta.

Domenica mattina sul Corriere Walter Lapini, professore ordinario di letteratura greca all’Università di Genova, è intervenuto con un articolo molto critico sui finanziamenti dello European Research Council (ERC).

Si tratta di un articolo dai toni molto caustici e sarcastici che mi ha disturbato non poco.

Nel frattempo, altri due articoli di risposta sono usciti: uno di Gianluca Brisuglia sul Post e uno di Andrea Fioravanti su Linkiesta. Di oggi è invece l’intervento sul Corriere di Francesco C. Billari e Gianmario Verona.

Poiché gli articoli critici verso l’ERC sono piuttosto rari, ho pensato che valesse la pena cercare di capire quali fossero le tesi centrali dell’articolo di Lapini, cosa (non) condivido e perché.

Il sistema dei finanziamenti

La prima osservazione critica è che i finanziamenti a singoli progetti di ricerca avrebbero sostituito i finanziamenti ordinari alle università e agli enti di ricerca.

Lapini collega questa tendenza ad un generico darwinismo che pretendere di operare una selezione sulla base di un (mitico?) merito. Per una risposta molto critica su questo rimando all’articolo di Brisuglia.

Gli Erc e i dispositivi dello stesso tipo come le Marie Curie, le quote premiali, le supererogazioni ai cosiddetti dipartimenti di eccellenza vanno di moda in quanto interpretano lo spirito dei tempi, in cui si disprezza il magro ma regolare provento e ci si esalta per l’azzardo, il colpo grosso, il tutto o niente.

Il problema del rapporto tra finanziamenti per progetti e finanziamenti per il funzionamento è un problema serio: i primi non hanno ragione di essere se alle spalle non c’è un sistema per supportato finanziariamente.

Certo che non ci può aspettare che sia l’ERC a doversi occupare di sostenere il sistema della ricerca e suoi enti in tutti i Paesi dell’Unione europea (come sottolinea Fioravanti).

Il problema risiede piuttosto nel sistema italiano. È inutile prendersela con l’ERC e magari suggerire di smantellare i finanziamenti ai progetti per aumentare i finanziamenti ordinari. Bisogna invece rivolgersi al governo e al parlamento italiani perché trovino le risorse per gli atenei.

La corsa ai finanziamenti

Lapini stigmatizza il comportamento delle università che fanno di tutto per accaparrarsi i finanziamenti ERC o i vincitori e vincitori di finanziamenti ERC. Una critica magari non centrale nel suo discorso, ma che mi tocca da vicino, visto che questo è il mio lavoro.

E così gli atenei offrono, con detestabile lessico, «posizioni di prestigio» a chi ti «porta» un Erc, o mettono in piedi «eventi formativi» finalizzati a «presentare un Erc di successo»

Voglio qui tenere separati i due punti. Una cosa è mettere in atto politiche di attrazione e assunzione per i vincitori ERC (su questo ritorno più sotto) e un’altra è attivare corsi (e altri servizi di supporto) per chi sta presentando un progetto per un finanziamento ERC.

Non c’è nulla di scandaloso in tutto questo. Immagino che Lapini non abbia nulla in contrario a formare dottorandi e ricercatori a scrivere articoli, fare ricerche bibliografiche, scegliere le migliori metodologie di ricerca e gestire correttamente i dati per permettere loro di fare al meglio il loro lavoro.

Perché prendersela con i corsi per preparare proposte migliori?

Non si tratta semplicemente di “infiocchettare il tuo progetto scegliendo il titolo più intrigante, l’acronimo più figo, le formule più cool”, ma di imparare a scrivere testi chiari, argomentati, convincenti e di strutturare un progetto che possa effettivamente realizzato nei limiti di budget e tempo prefissati.

L’ammontare dei finanziamenti

Un’altra critica riguarda la cifra messa a disposizione da ERC: troppo elevata, secondo Lapini, per la ricerca in ambito umanistico (mentre sembra ritenere che sia adeguata alle scienze dure).

quando un finanziamento abnorme investe una facoltà umanistica l’effetto è quello della bomba d’acqua sui terreni aridi e brulli: disgrega, dilava, trascina.

Ovviamente il finanziamento messo a disposizione dall’ERC può essere eccessivo in alcuni casi. Ma risulta idoneo se il progetto richiede l’utilizzo di macchinari da acquistare, prevede spese ingenti per missioni (pensiamo all’archeologia), o team di ricerca estesi, specie se siamo di fronte a progetti veramente interdisciplinari.

Anche nel caso di richieste gonfiate, non si preoccupi Lapini: sarà la stessa Commissione europea a fare alla fine i tagli necessari per spese eccessive e non giustificate.

Ing ogni caso, nulla impedisce di chiedere un contributo minore, più idoneo per ricerche condotte individualmente come potrebbe avvenire in molti settori umanistici.

Non è quindi la quantità di acqua la radice del problema, ma l’aridità del terreno che sta per essere investito. Si ritorna quindi alle osservazioni iniziali su quanto il sistema ricerca sia finanziato alla sua base.

In attesa di poter modificare il sistema, un’università o un dipartimento dovrà trovare il modo di trattenere l’acqua e farne un uso ottimale non solo per il progetto ma per l’intera istituzione ospitante.

Nulla di veramente complicato. Ma non è questo il dilavamento che Lapini paventa, bensì quello collegato al meccanismo della chiamata diretta.

La chiamata diretta

Qui si arriva al punto dolente dell’intervento di Lapini: la chiamata diretta di chi ha ottenuto un finanziamento ERC (previsto dalla legge italiana) e i suoi effetti sul sistema.

Infatti la gallina dalle uova d’oro non scodella gratis: ti «porta» il suo Erc ma vuole in cambio il posto fisso, magari il più alto, una bella cadrega da ordinario. Piomba in un dipartimento e scardina la programmazione, salta la fila, taglia la strada ai tanti che attendevano laboriosamente il loro turno e che ora devono farsi da parte davanti all’inesorabile avanzata del Milione.

La critica qui si svolge su quattro punti: la chiamata diretta

  1. favorisce le ambizioni (spesso non legittime) ad un posto e una posizione
  2. stravolge la programmazione dei dipartimenti
  3. interferisce sulle politiche e i piani di assunzione dei dipartimenti
  4. elude e mette in discussione il sistema di selezione basata sul concorso.
Un principal investigator ERC sulla sua “cadrega” (Jean-Auguste-Dominique Ingres, “Napoleone I sul trono imperiale”, particolare)

1. Il diritto al posto fisso

Per quanto riguarda il primo punto, le cose sono molto semplici: l’aspirazione di un vincitore ERC ad ottenere un posto fisso o un avanzamento di carriera è legittima quanto quella di chi partecipa ad un concorso.

Sta all’università decidere se attivare la procedura per la chiamata diretta oppure no. Una scelta non sempre facile ma che è solo l’ateneo a fare.

Mi capita spesso di dover spiegare questo punto a chi sta pensando di presentare un progetto ERC. Io dico sempre che la chiamata diretta non è un diritto del ricercatore, ma una facoltà dell’università che decide se avvalersene oppure no.

2. L’impatto sulla programmazione

Circa il secondo punto, spetta al dipartimento capire se ospitare un progetto ERC arricchisce il suo programma triennale, perché è coerente o integra le sue linee di ricerca. Se interessato, come detto sopra, attiverà la procedura di chiamata, altrimenti declinerà la richiesta del ricercatore.

D’altra parte non conosco casi di progetti ERC proposti a dipartimenti non potenzialmente interessati. Qualunque principal investigator cerca sempre di andare in un dipartimento che sia attivo nel proprio settore e sui propri temi.

Questa preoccupazione per lo stravolgimento della programmazione triennale sembra proprio pretestuosa.

3. L’impatto sulle politiche di assunzione

Arrivo quindi al terzo punto, forse quello che più conta in tutto l’articolo, secondo me. Dobbiamo riconoscere a Lapini di avere espresso ciò che molti pensano ma non dicono apertamente.

Tuttavia deve essere chiaro che chi ottiene un posto tramite la chiamata diretta non “taglia la strada” a nessuno, per due motivi:

  1. anche agli altri ricercatori e ricercatrici è aperta la strada per chiedere un finanziamento ERC e (in caso di successo) chiedere di attivare la procedura di chiamata diretta;
  2. chi sta “aspettando laboriosamente il proprio turno” evidentemente non ha maturato alcun diritto a quel posto perché non c’è stato ancora alcun concorso.

Anzi, stai a vedere che molte delle chiamate dirette riguardano quei ricercatori e quelle ricercatrici laboriose che ancora attendono che si faccia un concorso per ricercatore o per associato.

4. Cooptazione e concorsofobia

Lapini paragona il meccanismo della chiamata diretta ad una cooptazione ope legis (o ope bursae).

La chiamata diretta è un meccanismo che deroga dalla selezione tramite il concorso, ossia la procedura standard prevista dalla legge italiana. Ma si tratta di una eccezione che difficilmente può mettere in discussione l’impianto generale della selezione tramite concorso.

Va innanzi tutto notato che la chiamata diretta per vincitori ERC è chiaramente un caso raro, visti anche i pochi finanziamenti che riusciamo a ottenere a livello nazionale. Il concorso continua a essere la strada maestra per fare carriera nell’accademia italiana.

Si obietterà che non è questione di quantità, ma di principio.

Ma nel derogare dalla norma di base, la chiamata diretta conserva lo spirito della selezione per concorso: solo ricercatori che sono stati valutati positivamente per il loro curriculum e i lori risultati, nonché per il progetto di ricerca, possono essere chiamati senza un concorso. Di fatto una selezione piuttosto dura (con tasso successo del 10% circa) è già avvenuta a monte e a livello internazionale.

Come evidenzia Briguglia, non tutti i Paesi prevedono meccanismi analoghi (anche se Billari e Verona dicono invece che sia prassi diffusa in tutta Europea). Si può discutere se la chiamata diretta abbia una sua ratio e se ci siano altre soluzioni possibili.

Qualunque sia la soluzione prospettata, dovrà però rispondere ad alcuni requisiti:

  1. permettere a chi ottiene un finanziamento ERC di godere di quelle condizioni di autonomia previste dal bando per un principal investigator e sottoscritte dalla host institution;
  2. possibilmente trattenere ricercatori già presenti nelle università per evitare di disperdere gli investimenti fatti sulla loro formazione;
  3. attrarre ricercatori dall’estero per aumentare le risorse dedicate alla ricerca e soprattutto arricchire il mondo della ricerca italiana con competenze ed esperienze dall’estero.