I dati di ERC Starting Grant 2014: come leggerli e come NON leggerli

Pubblicati i risultati del bando ERC Starting Grant 2014: già se ne parla, con molte imprecisioni e qualche proposta assurda. Alcuni dati per riflettere.

Questa settimana lo European Research Council (ERC) ha reso noti i risultati del bando Starting Grant 2014, il primo del programma Horizon 2020. Avevo deciso di fare un’analisi approfondita dei dati  e conto di riuscire a farlo nelle prossime settimane, appena avrò un po ‘ di tempo. Ma già sono usciti i primi articoli.

Ne parla  Paolo Valente su Io non faccio niente, ripreso da Roars. Un altro articolo è apparso sul Fatto quotidiano a firma di Marco Bella. Anche il Sole 24 Ore ne parla. Come temevo, la situazione che maggiormente ha richiamato l’attenzione è stata la conferma della “fuga dei cervelli”. Non condivido questa lettura, che mi sembra normalmente superficiale. Ma poi alcuni dati vengono travisati o ignorati e qualcuno arriva anche a conclusioni sorprendenti.

In attesa di fare bene i conti, segnalo qui alcune analisi che trovo zoppicanti.

Distribuzione invariata tra i panel

La prima imprecisione che segnalo è di per sé innocente: Paolo Valenti segnala come un fatto interessante che la proprorzione di progetti finanziati tra i tre panel non è variato significativamente tra il 2014 e il 2014:

L’equilibrio tra le tre aree rimane sostanzialmente invariato:

  • Physical sciences and Engineering: dal 37.6% al 37.8%
  • Life Sciences: dal 43.9% al 43.6%
  • Social sciences and Humanities: dal 18.5% al 18.6%.

(cit. Paolo Valenti)

Valente sembra ignorare che questo non è un effetto accidentale. Sia nel 2013 che nel 2014 i rispettivi Programmi di lavoro (pagine 61 e 13) hanno definito una distribuzione indicativa della dotazione tra i tre panel ed esattamente la medesima:

  • PE Physical sciences and Engineering: 44%
  • LS Life Sciences: 39%
  • SH Social sciences and Humanities: 17%.

Poiché tendenzialmente per i progetti si chiede quasi sempre un contributo prossimo alla cifra massima amissibile e quindi sostanzialmente della medesima dimensione di grandezza per tutti (il contributo medio per il 2014 è di € 1.478.650 circa ), ovviamente la distribuzione finale riflette la ripartizione iniziale. (Si noti che in fase di definizione della lista finale PE cede qualcosa a SH e soprattutto a LF in entrambi i bandi.)

Con i bandi 2015 non sarà più così – per fortuna, aggiungo io. Non mi è mai stato chiaro quale criterio avvesse guidato ERC nel fissare quelle percentuali.

La presunta débacle svizzera

Paolo Valente parla anche di “tonfo catastrofico della Svizzera, che precipita da 21 a 1 vincitori”. Come hannno fatto notare alcuni commentatori, le istituzione ospitanti con sede in Svizzera – con esclusione dei centri di ricerca di interesse europeo come il CERN, che ha vinto! –  non erano ammissibili, non avendo all’epoca la Svizzera sottoscritto  un accordo di partenariato con l’Unione Europea per il programma Horizon 2020.

Solo pochi giorni fa, lo scorso 5 dicembre, si è arrivati alla firma di un accordo parziale (perché limitato ancora ad alcune linee di finanziamento) e con valore retroattivo fino al 15 settembre 2014. Quindi Starting Grants e Consolidator Grants  – che hanno presentato domande nella primavera 2014 – non sono inclusi in questo periodo di retroattività.

Ricercatori in mobilità

Paolo Valenti e anche Marco Bella, ma attendo molti altri interventi in questa direzione, evidenziano il dato negativo fondamentale: bravi i ricercatori italiani, ma la maggior parte di questi hanno ottenuto il contributo presentando il progetto con enti stranieri. In breve: i risultati dell’ERC confermano la fuga dei cervelli.

L’Italia che si aggiudica 11 progetti ma in realtà vede ben 28 vincitori italiani, di cui ben 18 scelgono un altro paese, è certamente il peggiore tra i grandi paesi. Purtroppo anche questo dato negativo si conferma e anzi peggiora ancora rispetto al 2013, che vedeva 7 su 17 ricercatori italiani scegliere di restare in Italia (Paolo Valenti).

La prima osservazione è: perché limitarsi a questi dati negativi e non mettere in luce anche quelli positivi? In fondo,  l’Italia (come sede delle host institution) passa da 8 a 11 progetti (+ 37,5%); i ricercatori italiani (per nazionalità dei PI) passano da 17 a 28 progetti (+64,7%).

Non sono convinto che il confronto con numeri così bassi sia – da solo – significativo e non dipenda da fattori contigenti: un progetto in più o meno su questa scala rischia di dare tassi molto diversi, che rendono più difficile l’inerpretazione. Un’analisi su lungo periodo potrebbe essere più illuminante in tal senso. Io stesso non vanterei il migllioramento delle performance italiane solo sulla base delle percentuali stimate sopra (+ 37,5% e +64,7%). Ma se decide di basare il confronto su due bandi, allora lo si persegue coerentemente per tutti i fattori in gioco.

Ovviamente non possiamo nascondere fenomeni negativi che sono noti da tempo, ma non ci aiuta confondere i dati. Non è vero che nel 2013, 7 ricercatori italiano abbiano scelto di “restare in Italia” grazie ai fondi ERC. In realtà, sappiamo che degli 8 progetti a università ed enti di ricerca italiani, 5 erano di italiani già residenti in Italia, 1 era di un residente “non europeo” e 2 di ricercatori (di qualunque nazionalità) che entravano in Italia. Poiché gli italiani che hanno presentato un progetto con un ente italiano erano complessivamente 7, ne deriva che uno di questi ricercatori entranti era esattamente un “cervello italiano che rientrava” da fuori Europa.

Non conta tanto la svista in sé, ma un aspetto fondamentale. Spesso quando si analizzano i dati dei bandi dell’ERC si dimentica di guardare ai diversi fattori: contano non solo la nazionalità di ricercatori e host institutions, ma anche la residenza dei ricercatori (e giustamente ERC pubblica anche questa informazione).

Inoltre la mobilità in sé non è né negativa, né positiva: perché un italiano che si afferma all’estero sarebbe una pecca, mentre un ricercatore straniero che sceglie l’Italia sarebbe un vanto? Eventualmente è il saldo tra entranti e uscenti che conta – e ahimé in tal senso i dati non sono confortanti.

Aggiungerò un’osservazione: non solo la mobilità dovrebbe essere valutata in maniera neutrale, ma è accertato che la mobilità è una caratteristica propria di molti principal investigators finanziati. Lo studio Marie Curie researchers and their long-term career development: A comparative study recentemente pubblicato (qui l’executive summary) sembra dimostrare che i ricercatori finanziati con il programma di mobilità Marie Curie hanno maggiori chance di vincere un grant ERC dei loro pari senza esperienza Marie Curie alle spalle. Uscire dall’Italia è quindi opportuno se non necessario se vuoi vincere un ERC. Il problema italiano è capire se poi siamo in grado di creare le condizioni perché possano rientrare.

E anche su questo punto, vale la pena di citare l’Annual Report on the ERC activities and achievements in 2013 (pagina 44):

Tedeschi e italiani vincono progetti ERC al di fuori dei loro Paesi (dati bandi FP7-Ideas)
Figure 3.8: Country of Host Institution and origin of grantees (clicca l’immagine per ingrandire)

The same figure [si riferisce alla figura 3.8 riportata qui sopra] shows the tendency of some nationalities to work abroad rather than in their home country: around 55 % of the Greek, Austrian and Irish grantees are based in foreign countries (when looking at nationalities with at least 30 ERC grants). The absolute numbers are in particular high for Germany and Italy, with 253 and 178 nationals respectively hosted by institutions abroad. In both cases, almost 90 % of these grantees were resident abroad at the time of application (data as of December 2013).

I dati si riferiscono a tutti i bandi Ideas (i predecessori degli ERC) nel Settimo Programma Quadro. Il problema dei “cervelli in fuga” non è solo italiano e soprattutto riguarda anche la Germania, quella Germania di cui ammiriamo la posizione di leadership nei risultato di quest’anno, che migliorano le ottime performance degli anni precedenti.

E poi, la maggior parte di loro (sia italiani sia tedeschi) hanno evidendemente scelto di rimanere là dove già erano. Forse perché hanno trovato un ambiente scientifico stimolante e gli strumenti necessari per la ricerca (ma con 1 milione e mezzo, gli strumenti puoi acquisirli ovunque tu decida di insediarti in molti casi). Forse per riconoscenza verso chi li accolti. O forse legami personali o altri motivi personali: in fondo a 35 anni (l’età media di un ERC Starting Grant) pensi anche a crearti una famiglia e una casa. Questi i dati non lo dicono, ma non possiamo ignorare anche queste considerazioni.

Sciovinismi scientifici

Marco Bella alla luce dei dati, arriva a fare delle consideraazioni provocatorie.

Per il programma quadro Horizon è stato firmato un accordo fino al 2020 con il quale i contribuenti italiani donano agli altri paesi milioni di euro. Sarebbe come se tante squadre mettessero tutte amorevolmente assieme i soldi per organizzare un torneo di calcio e dopo la squadra italiana è mandata a giocare senza scarpe e senza allenamenti.

Continuare a partecipare ai programmi ERC in questo modo non è accettabile e un correttivo va introdotto (lo scrivo in modo volutamente provocatorio) al limite addirittura valutare l’uscita dell’Italia dal programma Horizon 2020.

Ben strano questo ragionamento: pago la quota di iscrizione al campionato, ma se poi non vinco decido di non partecipare più (e magari porto via il pallone)? E perché invece non analizzare come fare un migliore allenamento o comprarsi gli scarpini da calcio? Il problema è chiaramente dell’Italia, non certo dell’Europa. Non abbiamo regalato a nessuno 25 milioni di euro (come arriverà a questa cifra?): semplicemente non siamo stati abbastanza bravi a ottenerli.

Dal mio punto di vista, ben venga Horizon 2020. Senza quello, i fondi non versati a Bruxelles sarebbero gestiti a livello nazionale senza alcuna garanzia sui tempi, le regole e la coerenza dei processi decisionali. Il caso SIR ricordato menzionato da bella è significativo: bando scaduto alcune settimane prima e siamo ancora in attesa dei risultati, con le note vicende legate alla scelta dei valutatori.

Siamo certi di voler uscire da Horizon 2020?

Spero di trovare il tempo di analizzare i dati ERC perché forse ci sono più cose da scoprire di quanto non dicano un paio di slide e una lettura frettolosa.