La gratuità della cultura nei progetti finanziati

L’ipocrisia delle regole dei contributi che favoriscono la gratuità degli eventi e la dipendenza dai fondi pubblici. Alcune proposte per cambiare le regole del gioco.

Ritorno sul tema degli eventi gratuiti. che ho già affrontato in due articoli precedenti che prendono le mosse dalle riflessioni di Shammah André Ruth e di  Salvatore Carrubba.

Capita talvolta che un finanziatore valuti positivamente un progetto anche in base alle politiche di prezzo che saranno applicate in caso di sovvenzione. In particolare, sembrano particolarmente apprezzati quei progetti culturali che prevedono un biglietto “a prezzo politico”, o persino la gratuità.

Per fortuna, questo avviene sempre più di rado, e anzi – in fase di valutazione – talvolta l’assenza di un piano di entrate generate dal progetto (quando questo è in realtà possibile) viene considerato negativamente.

In altri casi, sono le organizzazioni culturali stesse a dichiarare di non realizzare entrate generate dal progetto stesso (attraverso la vendita di biglietti, il merchandising o altro), perché ritengono la gratuità un valore in sé o anche perché pensano che il finanziatore si aspetti questo. Ciò significa che l’istituzione culturale rinuncia ad una delle sue legittime fonti di entrata, sperando di ottenere un contributo pubblico o privato.

Questa mossa è, però, poco lungimirante e – se fatta per compiacere il finanziatore – ipocrita. Da dove trarrà le risorse per coprire la propria quota di cofinanziamento? O dall’autotassazione dei soci (in caso di associazione), o dalla ricerca di altri finanziatori pubblici e privati (cosa non facile), o dalla vendita di altri servizi culturali (con le entrate di una stagione, copro il cofinanziamento della nuova produzione le cui repliche saranno gratuite).

In breve, di fatto qualunque istituzione culturale copre comunque i costi di un’iniziativa con fonti di reddito generate dalle proprie iniziative. Sostenere i costi di un evento con le entrate di un altro è solo spostare il problema.

L’ipocrisia raggiunge l’apice quando l’istituzione applica un biglietto di ingresso all’evento finanziato, senza però dichiararlo all’ente finanziatore.

Alla luce di queste considerazioni, gli enti finanziatori dovrebbero rinunciare alle  prassi che disincentivano il beneficiario di contributo a cercare altre fonti di entrate autonome.

  • Non assegnando un valore positivo alle politiche di prezzo basate sulla gratuità o sul prezzo modico nella valutazione della proposta
  • Non riducendo la quota di contributo concesso in base alle entrate generate dal progetto (fermo restando che le entrate non devono superare le uscite).

Anzi, se possibile, gli enti finanziatori dovrebbero percorrere vie opposte, individuando meccanismi che incentivino l’aumento delle risorse generate dal progetto. Potrebbe essere, ad esempio, un meccanismo che aumenti il contributo in proporzione del pubblico pagante e/o delle entrate generate. Ovviamente queste soluzioni vanno vagliate con attenzione, per evitare che il contributo determini un guadagno.

Una tale scelta sarebbe in sintonia con la continua richiesta – da parte dei decisori politici – di una maggiore capacità imprenditoriale dei soggetti culturali, e uno stimolo per una reale sostenibilità del progetto.